Perché molte donne baciano una lapide?

La storia che si cela dietro questa domanda è una storia bellissima. Una vicenda solare ma che, allo stesso tempo, è stata definita “La tragedia più orribile di tutta la storia della letteratura”.

Per raccontarvela parto da un monumento. Un’opera raffigurante una sfinge. Una scultura incantevole che, però, nasconde qualcosa d’inquietante: una lapide, una pietra tombale.

Si trova nel cimitero Père-Lachaise, il più grande camposanto civile di Parigi. Forse, il più conosciuto al mondo. Ma, attenzione, non è una pietra tombale qualsiasi. Non ci sarebbe nulla di strano in una lapide decorata con un monumento. Questa è la pietra sepolcrale del grande ed immenso Oscar Wilde. Una lapide piena di baci.

La sepoltura dell’autore de Il ritratto di Dorian Gray, oltre ad essere una vera e propria opera d’arte, è ornata da una moltitudine di impronte di labbra. Labbra rosse, lasciate – nel corso egli anni – da innumerevoli ammiratrici.

Ma perché? Cosa spinge una donna a baciare la tomba di uno scrittore? Forse per la sua infinita bravura nello scrivere? O per la sua estrema sensibilità? Forse la sua bellezza da eterno fanciullo? O per le sue opere letterarie così cariche di passione?

Per capirlo davvero bisogna fare due cose: studiare la vita di Oscar Fingal O’Flaherty Wills Wilde e leggere Il ritratto di Dorian Gray.

La vita del grande autore irlandese è contornata da avvenimenti dolorosi e tragici. A partire dal processo, istituito per sodomia ed omosessualità, che lo costrinse a due anni di carcere, alla perdita della moglie e all’abbandono degli amici più cari.

Wilde viaggia per tutto il mondo, vince premi e riconoscimenti prestigiosi per la sua poesia, verga capolavori immortali destinati a restare nella storia, frequenta i salotti buoni di Londra e Dublino e scrive opere teatrali straordinarie. Ma muore solo. Povero e malato. Lascia questo mondo all’età di 46 anni, convertendosi al cattolicesimo come ultimo desiderio.

Nelle foto che lo ritraggono da giovane, ben vestito e curato, c’è sempre un particolare che fuoriesce più d’ogni altra cosa: i suoi occhi. Occhi languidi, pieni di una luce strana, diversa. Una luce che riflette un misto di follia ed angoscia. L’angoscia di una vita fatta di gioia, di spensieratezza e di sofferenza. La stessa sofferenza che si cela ne Il ritratto di Dorian Gray: un libro insolito che, attraverso metafore ed allegorie, descrive nei particolari l’anima degli uomini.

Leggendo questo libro si ha l’impressione di rivivere la vita del grande autore. Si parte con la bellezza – preservata da un quadro – e si finisce con “l’amarezza” di non poter invecchiare. Con le rughe della pelle imprigionate in una tela.

Questo libro porta una maschera, come quella del protagonista. Una maschera di favola, di leggenda. Ma che, in realtà, è molto di più. È una rappresentazione dell’animo umano. È una raffigurazione della vita dello stesso autore. Che, in qualche modo, subisce le stesse pene di Dorian Gray.

È questa la storia che si nasconde dietro il libro. Un parallelismo inconsapevole, una simmetria ignara delle logiche della vita, fuoriuscita da una penna capace non solo d’incantare, ma anche di prevedere il futuro.

Forse è questo il motivo che spinge molte donne a baciare la pietra tombale di Oscar Wilde. Per dire addio ad un poeta, ad uno scrittore, ad un uomo carico di passione. Per salutare un artista in grado di “prevedere il futuro” e di scrivere liriche straordinarie, metriche dolci e metafore amabili. Per dire addio ad un uomo che ha seguito i suoi sentimenti ed ha pagato, patendo la pena più dura: la morte.